In occasione delle Giornate Internazionali del Cinema che si sono svolte a Sorrento dal 29 novembre al 2 dicembre, abbiamo incontrato il regista Luigi Pane (sorrentino, classe 1981) per parlare della sua opera prima, il film “Un mondo in più”, già presentato ad Alice nella città, il festival cinematografico internazionale dedicato alle giovani generazioni.
“Qualcuno ha definito il Tuo un film neorealista, pensi si tratti di una definizione appropriata?”
“Non esattamente, si tratta di un Film che ha un forte aggancio con la realtà, una storia contemporanea, chi lo vede ha la percezione che si stia guardando fuori dalla finestra. C’è l’uso della mascherina, non si parla del Covid, ma i giorni sono i nostri giorni. Esattamente è ambientato nell’estate del 2020, dopo la fine del primo lock-down. Il film non parla di questo. Non so perché il cinema non parli di Covid, Io l’ho fatto perché ho voluto raccontare una storia veramente attuale.
“Un Mondo in più” è un titolo particolare, da cosa nasce?”
Il titolo l’ho cercato nei dialoghi e l’ho trovato successivamente alla stesura della sceneggiatura, poi vedendo il film lo capirete”.
“I due protagonisti sono giovani. Come Ti sei trovato a lavorare con loro?”
“Benissimo. Denise Capezza è stata straordinaria, già mentre scrivevo pensavo che potesse essere lei uno dei personaggi candidati a ricoprire il ruolo di Tea. Francesco Ferrante lo abbiamo cercato con un lungo lavoro di scouting tra scuole di teatro, agenzie di cinema e dopo numerosi provini lo abbiamo scelto. Volevo che chi guardasse il film avesse la mia stessa percezione, perciò ho voluto un ragazzo alla sua prima esperienza cinematografica”.
“Altro tema portante è il tema dell’immigrazione, il rapporto con gli ultimi, vuoi parlarcene?”
“Mi sono trovato a riflettere su cos’è che definisce un migrante. Molto spesso è il caso che ci fa avere delle possibilità o ce le nega. Ho voluto raccontare la storia di Diego che a suo modo è un migrante, perché deve lasciare Napoli per trasferirsi a Roma, in un turbinio di cose a cui non è abituato. Lui resta più incuriosito dai migranti che occupano il palazzo difronte, piuttosto che dagli abitanti che lo fanno sentire un diverso. Perciò il concetto di migrante è molto relativo”.
“Parliamo del ruolo della scuola. Hai scelto un Maestro come Renato Carpentieri, un grande attore.
Parli bene della scuola perché ha avuto un peso importante nella Tua vita lavorativa”?
“Ho scelto un Maestro per interpretare il ruolo di un professore perché penso che i professori devono essere dei maestri di vita. La scuola deve essere qualcosa che ti educa, ti insegna a comprendere il mondo, a volte anche a sfidarlo, oggi più di ieri fondamentale nella formazione dei ragazzi.
Lui è un maestro in pensione che decide di fare un seminario di letteratura per stare con i ragazzi, un maestro anticonvenzionale, un po’ rivoluzionario, che poi si scopre custodire un segreto, un bellissimo segreto che gli ha forgiato questo carattere.
“Quali le Tue attese e aspettative rispetto a questo film?”
“Mi piacerebbe dire che voglio vincere un oscar. Questo è un momento non facile per il cinema, per le sale cinematografiche; c’è uno strapotere dello streaming, una crisi mostruosa delle sale. Io sono per la convivenza delle due cose, alla fine il digitale non ha soppiantato la pellicola, forse cambieranno un po’ le formule delle sale, ma l’importante è che la sala resti”.
“Quali sono stati i tuoi maestri cinematografici, citi Pasolini, hai girato il film a Roma. Cosa ci puoi dire in
merito?”
“Pasolini è stato per me una grande scoperta, cosi come lo è stato per Diego, il protagonista. Quando mi sono trasferito a Roma, a 18 anni, sono andato a vivere nei quartieri dove Pasolini girava i film ed in quello stesso periodo ho fatto come mio primo esame universitario il corso monografico su Pasolini con il professore Bruno Torri, storico, critico cinematografico, amico di Pasolini. Quel corso mi ha fatto scoprire Pasolini ed i luoghi dove aveva girato i film. Alla fine le cose non erano poi tanto cambiate. Ho voluto trasferire in Diego questa scoperta, quando le persone sono al di fuori degli eventi, della storia, alla fine si è sempre nella stessa precarietà. Pasolini citava i vinti d’Italia, oggi forse ai vinti d’Italia si sono uniti i vinti del Mondo.”
Intervista a cura di Adele Paturzo e Antonio Volpe